Itinerario di un'avventura critica




Il pittore Mauro Martin esce dalla sua prima vernice veneziana esponendo una tematica, le cui prefigurazioni culturali suscitano i prestigiosi assunti dell'antroposofia steineriana. L'evocazione dell'"Ulisse universale", il "cavaliere" sembra emergere dalle vibrazioni di una materia pittorica che è ancora sulla via della sua evoluzione luminosa. La dimensione saliente, prescelta per la oggettivazione e narrazione della sublime avventura del sé, è quella spaziale. Essa viene realizzata mediante superfici asettiche e avulse da qualsiasi riverbero "pittorico", dislocate in tenui alternanze cromatiche inscriventi prospettive essenziali. La rilevanza dell'impegno e la costante autonomia filologica, la progressiva decantazione del pigmento, raccomandano all'interesse dei veneziani questo giovane pittore. V. Pinzan - Venezia - 1977

La mostra di Mauro Martin alla galleria d'arte San Vidal (novembre 1977) presenta una pittura di tipo concettuale. I vari dipinti narrano l'avventura di un "cavaliere" il quale affronta una serie di esperienze che avvengono però diversamente da quelle basate sui sensi fisici e quindi occulte agli uomini comuni. Egli vuole controllarle con metodi di sviluppo spirituale, per mezzo dei quali sperimentare la verità del mondo soprasensibile. Supera gli ostacoli e si avvicina al traguardo divino attraverso numerosi ritoni alla vita, perfezionando così il destino preparato da geometriche trasformazioni. Ugo Stefanutti - Venezia - 1977

Decisamente aristocratica con un punto di mistero, così si presenta la mostra della prima metà di novembre alla galleria San Vidal, il pittore, giovanissimo, si potrebbe considerare un maestro; uso il condizionale perché è alla sua prima personale quindi ci vuol tempo per esprimersi in modo definitivo anche se in questo caso il tempo, sicuramente, sarà breve. La pittura di Mauro Martin si stacca in modo singolare dall'attuale contesto, chiaramente è per pochi: entrare in questo mondo all'apparenza sereno e colorato senza una certa preparazione è impossibile, certo le sue opere bloccano, ma ciò è salutare per lo meno costringono a pensare. Si nota l'impronta "pontecorviana" nella stesura e nel particolare cromatismo; la personalità del giovane emerge con una gamma cromatica particolarmente violenta, difficile; da notare l'uso del bianco di titanio puro come colore di rottura; è evidente che questa scelta è a dir poco insolita, da sola pur far notare la difficoltà d'esprimere gli estremi del problema Martin: eclettico, ricco di simboli esoterici, classico, nordico e mediterraneo, metafisico, nuovissimo nella messa a fuoco che lega la figura allo spazio, surrealista e mistico... Gianni Mistran - Venezia -1977

Che la prospettiva fosse da considerare essenzialmente convenzione grafica è una menzogna stolidamente diffusa in questo dannato secolo pieno di ipocrisie e di aberrazione; diffusa proprio nell'ambito di chi di essa non può - nel bene e nel male - farne davvero a meno: quello dei pittori. Si è voluto appaiarla al altre forme di rappresentazione quali le proiezioni ortogonali, la scomposizione cubista, la quarta dimensione futurista e la bidimensionalità bizantina o attuale che sia. La prospettiva invece è una delle condizioni esistenziali non soltanto perché l'occhio umano "vede in prospettiva" ma perché l'uomo si sente e si vede vivere nello spazio prospettico. Che Ghiberti, Brunelleschi, Piero o Leonardo abbiano poi codificato un procedimento per rappresentarne il fenomeno e le sensazioni che comporta non vuol dire affatto che sia stata ridotta a mera tecnica. E questo proprio perché fu, per loro e per molti venuti dopo, un modo di concepire la vita dell'uomo e tutto l'umano, nello spazio vitale assegnatoci dal destino. Una premessa di questo tipo mi è parsa necessaria ad affrontare il discorso sulla pittura di Mauro Martin. E veramente in questo caso il procedimento di cui il pittore si serve con maestria seppure con libertà, giustifica l'assunto di ordine esistenziale - per non dire morale - cui s'è accennato. Il vezzo di trovare i progenitori di ogni esperienza artistica contemporanea potrebbe condurci molto lontano. Anche perché il pittore - ne abbia coscienza o meno - che ne sia venuto a conoscenza o soltanto ne abbia percepito la presenza immediata attraverso i misteriosi canali dell'intuizione, ha le sue radici bene abbarbicate nel contesto culturale dell'arte europea del novecento. Ma ciò appunto che maggiormente affascina in questi spazi, sereni ed angosciosi ad un tempo, è sottile ritrovarsi in alcuni valori formali e compositivi che ci riconducono ad esperienze assai lontane ma ancora ricche di umori e che conservano il potere di farci ancora sognare. Direi, nostro malgrado; perché in un mondo proteso a mete esclusivamente venali e pratiche delle quali proprio l'umanesimo ha dato l'avvio - ma con altri intenti - alle istanze; quell'umanesimo che ha generato la prospettiva come ambito vitale dell'uomo sia pure nei modi illusori della pittura, si trova alla base del discorso di Mauro Martin. Discorso che ha le sue origini in un esplicito positivismo ideologico ma che innalza su di esse i muri bianchi dell'armonia e della speranza. Gli ampi orizzonti che si stagliano sui cieli immancabilmente azzurri e che conferiscono a queste tele un respiro tutto mediterraneo; quegli spessori contrassegnati dai più splendenti colori dell'arcobaleno aereo e della nostalgia della storia, sembrano indicare le ere geologiche e gli aneliti inconfessati di un mondo il cui destino finale sembra necessariamente quello della gioia e della bellezza. Che sia nonostante tutto il momento di ricominciare a parlarne? Perché, è qui che sembra vivere, in una nitida silouette, il romantico personaggio solitario: conturbante e misteriosa presenza. Ernani Costantini - Venezia - 1977

"Il più bel sentimento che si possa provare, è il senso del mistero" scrive Einstein. "E' la fonte di ogni autentica arte, di ogni vera scienza..." Si può non condividere questa citazione ma per introdursi nel mondo pittorico di Mauro Martin è quasi doveroso accettarla; la sua pittura è così impregnata di aristocratico esoterismo , di ritualità, che, le connotazioni geometriche, gli spessori contrassegnati da luminosi colori aerei fusi con toni oscuri e inquietanti, la nostalgia della storia, sembrano indicare le ere geologiche e gli aneliti inconfessati di un universo incantato ma consapevole dei labirinti della felicità e dell'infelicità umana, contaminato da un'idea della malinconia spesso celata nella più pura bellezza. Il sottile ritrovarsi di valori formali e compositivi ci riconducono ad esperienze assai lontane; dame, cavalieri, nobili animali, dipinti in un tempo sospeso tra il passato e il presente potrebbero coinvolgere in modo sconcertante e, in ultima analisi provocatorio, il nostro tempo ad un confronto drammatico con altre età, insinuando cristalline domande sul futuro o hanno semplicemente il potere di farci ancora sognare, irridendo ad una società protesa esclusivamente a mete venali e pratiche? In questa enigmatica situazione sembrano vivere, in una nitida silouette, romantici personaggi: conturbanti e misteriose presenze. Andrea De Bonret - Venezia - 1982

Roberto Cerati mi segnala la sua mostra che ho visto con grande interesse e perla quale mi complimento - anche perché essendo io veneto di Oderzo - Le sono particolarmente grato di tenere così vive e cosi intelligenti e preziose le nostre tradizioni ed il segno testimoniale della nostra cultura che continua. Mario Bernardi - Venezia - 1982

Le tematiche di Martin, tutte intese a ridimensionare il fatuo con il pregnante, la banalità con il rigore, il reale con l'ideale, testimoniano uno sforzo metafisico ed epistemologico di notevole vivacità. La sua tecnica, raffinata e puntigliosa, estremamente coerente con l'insieme, rappresenta, nel marasma figurativo contemporaneo, un chiaro monito ed una proposta di non facile lettura per l'esperto, ma, paradossalmente, immediatamente intuibile per l'amatore. Franco Merlo - Robella d'Asti - 1983

Mauro Martin è un collaboratore del Centro Studi Chivassesi che ha in programma la pubblicazione di opere di carattere storico - sociale riguardanti la città di Chiasso. Ha illustrato due opuscoli i poesie, uno di Giovanni Luigi Ilardi, Voci della stagione unica, l'altro di Luciano Dell'Olmo, Sapore di mamma, entrambi editi nel 1983. In questi giorni sta per uscire il primo quaderno di cultura chivassese, dove Mauro Martin ha illustrato le Favole di Esopo, di cui qui sono esposte due tavole. Il giovane pittore ha in programma di disegnare la copertina del secondo volume della Storia di Chivasso e del Chivassese di Luciano Dell'Olmo e Rino Scuccimarra che sarà pubblicato nel prossimo Natale dalla Casa Editrice Torinese Accademia. La copertina ha per soggetto L'assedio di Chiasso del 1705. Luciano Dell'Olmo - Chivasso - 1987 (in occasione della mostra personale di Mauro Martin presso la galleria "Corniceria Primo Piano", Ciriè - Torino)

...la sua ricerca pittorica sintetizza in modo estremo lo stato esistenziale e le passioni del momento. Non per questo il rigore stilistico viene a mancare , anzi ne è vivacizzato. Osservando le sue opere, si scopre che esse conducono alla meta " filosofale"; questa corrente di pensiero, puntualmente presente, dona loro una luce particolare, un senso di leggera inquietudine e di raffinata malinconia. Questo suo personalissimo modo d'essere artista, estraneo alle mode e ai cosiddetti "stili", non è altro che lo specchio sincero del suo pensiero e del suo modo di vivere. L'uso singolare e sofisticato del colore e l'essenzialità formale della composizione, rappresentano in modo chiaro e indiscutibile il suo essere artista d'oggi sostenuto dalla coscienza storica del passato: in effetti è molto difficile, se non impossibile, procedere senza conoscere ciò che è stato. In ultima analisi le sue opere sono la tangibile rappresentazione del "cristallo della memoria" che affiora e qualche volta, per fortuna, brilla di luce propria. G. Stefano Villa - Chivasso - 1990

Il suo mondo pittorico è caratterizzato da una costante ricerca che ci rimanda ad esperienze antiche, pur mantenendo una dialettica attuale, moderna, che ben si inserisce nel contesto delle esperienze figurative del nostro tempo. I colori vibranti, la composizione che ricorda una tarsia bizantina, la combinazione dei toni chiari, sostenuti da toni sempre più luminosi fino al bianco dichiarato fuso nell'oro, permettono a questo gioco di tessere di sostenersi a vicenda. Toni scuri e profondi appaiono improvvisi, evidenziando l'incredibile luminosità che pervade la tela. Questa ricerca sull'uso della luce come strumento di lavoro e d'iniziazione ai segreti di un mondo incantato, è la risultante, a mio avviso, degli anni trascorsi dal pittore in una città unica e rara: Venezia. Questo bagaglio di emozioni sensazioni colori emerge puntualmente ogni qualvolta egli si metta al lavoro. Francesco Capello - Chivasso - 1992

Si può, senza dubbio, considerare il mio incontro con Mauro un'esperienza significativa. Lo conobbi a Ivrea, nell' 85, mentre insegnava ai ragazzi della scuola media. Anch'io ero là per la stessa ragione, ma per quanto mi sforzassi di dare il meglio, per quanto mi appassionasse il rapporto con i ragazzi, che consideravo creativo e rigenerante, la mia condizione di allora, così preso dagli impegni e frantumato fra la professione, la politica e l'insegnamento, non mi consentiva di apprezzare a fondo quella bella esperienza che condividevo in "compresenza" con il prof. Martin. Ogni mattina mi proiettavo sull'autostrada Torino - Aosta, sempre in ritardo, sempre più trafelato, per giungere a scuola per le otto. Ogni mattina arrivavo in aula portandomi dietro, ancora "attaccati" come un lungo strascico, tutti i problemi del pomeriggio e della sera precedenti, legati al mio lavoro di architetto, agli appuntamenti che incalzavano accavallandosi disordinatamente, al rutilare delle immagini dei volti dei clienti, degli impresari, dei muratori, dei fornitori, i problemi di cantiere mi assillavano, mescolandosi, nel sonno della notte, agli impegni e all'attività politica che continuavo a svolgere anche se con sempre meno entusiasmo, sempre meno convinzione. Non appena varcavo la soglia dell'aula di lezione, invece, letteralmente travolto dal benvenuto gioioso dei ragazzi, incontrando lo sguardo divertito e rassicurante di Mauro, tutto il resto, in me, scompariva lontano, come in una realtà parallela che non mi riguardava più e che potevo serenamente scordare. I ragazzi ci seguivano con entusiasmo e insieme si lavorava sodo, con risultati apprezzatissimi e con grande soddisfazione di tutti. Con Mauro si trovava comunque il tempo per parlare di noi , per conoscerci, per scambiare opinioni e considerazioni sulla vita di tutti i giorni, sul lavoro. Così appresi che anche lui era architetto ma che non esercitava, anche lui aveva condotto studi artistici nello stesso istituto che avevo frequentato io, in un tempo che mi stupii di avvertire come distante, remoto, parte di un passato quasi dimenticato e che invece mi tornava alla memoria, più vivido che mai, come un periodo importante, intenso, felice, stranamente accantonato in un angolo della mente. Così seppi che, anche lui, conoscendo Raffaele Pontecorvo, stimato pittore surrealista torinese, nostro comune insegnante di disegno figurativo al liceo, era stato trascinato nella passione per la pittura. L'unica differenza, in quest'ultima cosa, era il fatto, altro motivo, per me, di improvviso stupore, che Mauro dipingeva ancora e con successo, mentre io avevo smesso da almeno una decina d'anni e non riuscivo a ricordarmi il perché. Fu questo suo mondo pacato, questa sua vita di poeta sicuramente ispirato, questa dimensione incantata che gli apparteneva in modo assolutamente solidale ad una intelligenza vivace ed attenta, estremamente legata ad un realismo profondo e tutt'altro che visionario, che mi colpirono, proprio al centro di un complesso di questioni irrisolte che conturbavano il mio animo più autentico e sincero, da anni allineato e corrotto in una corsa senza respiro sulla via della carriera e del perseguimento di falsi traguardi, più ispirati da una educazione acritica famigliare che trascurava le mie autentiche aspirazioni, piuttosto che da un legittimo impulso personale. Una classica "battuta d'arresto", che mi obbligò a pensare, a riflettere sulla mia condizione, portandomi lentamente, inesorabilmente e felicemente, verso uno stato di gioiosa crisi. Questo fatto mi aiutò a rivedere diverse cose, migliorando sensibilmente ogni aspetto del mio modo di concepire la vita stessa, permettendomi, inoltre, di pormi nel modo giusto anche nei confronti di Federica, la mia bambina che era nata da pochi mesi e che mi accorsi di non conoscere ancora, per non aver saputo trovare il tempo e l'animo per approfondire al meglio la mia nuova, straordinaria, meravigliosa condizione di papà. Decisi anche di abbandonare la politica e, cosa ancora più importante, di ricominciare a dipingere. Nel complesso, anche se non si può certo pensare che conoscere Mauro sia stata una "folgorazione", perché non fu, in effetti, questo ciò che avvenne, devo riconoscere che tutta una serie di cambiamenti importanti che hanno determinato un innegabile arricchimento della mia vita dall'85 ad oggi, consentendomi di recuperare in serenità ed equilibrio, coincidono stranamente con quell'incontro e con un'esperienza che ritengo fondamentale e vivificante, e che considero come uno dei fatti veramente importanti della mia formazione esistenziale, senz'altro uno dei più intensi e piacevolmente vissuti: la sua amicizia. Fabrizio Frassa - Caselle T.se - 1995

…ho trascorso alcune ore ad osservare le opere prescelte per organizzare questa mostra ed è stata un’esperienza singolare: come viaggiare in una dimensione luminosa, senza tempo. Ho ritrovato i colori di Bellini, di Carpaccio e il rigore che contraddistingue la vera pittura italiana, quel rigore che ebbe molto spazio negli scritti di De Chirico. Le connotazioni precise e la rivisitazione in chiave attuale, a volte puramente astratta, di contesti per definizione assoluti, donano l’immediata percezione della ricerca estetica pura ed autonoma, collocando questo genere di pittura al di fuori e al di sopra delle tendenze. Pertanto posso affermare che in queste opere vi è la naturale continuità dell’arte italiana e della scuola veneziana in particolare. Andrea De Bonret - Ivrea - 1996

In Martin l'amore per le strutture geometriche si lega forse anche ai suoi studi di architettura: di lui ricordiamo le rivisitazioni un po' stranianti dell'arte veneta del rinascimento, nonché le eleganti composizioni su fondo oro, campite di misteriosi grafemi; ricordiamo anche le più recenti tele astratte dipinte ad olio, realizzate con una ammirevole giustezza compositiva e coloristica e animate da un vibrante trattamento della superficie che viene intaccata da solchi e graffiature...... Gianni Bertolino - Chivasso - 1998

Negli anni Venti dello scorso secolo, lo scrittore Massimo Bontempelli riconsiderava la pittura del Quattrocento in termini di "realismo magico", sottolineando, in tal modo, uno stretto legame fra l' arte rinascimentale e quella della prima metà del Novecento. Oggi, a distanza di vari decenni da Bontempelli, un pittore della sensibilità di Mauro Martin guarda ancora al Rinascimento lagunare dei Vivarini, dei Bellini e di Carpaccio (ma anche a quello toscano di Paolo Uccello e del Bronzino o a quello nordico di Hans Holbein il Giovane) ricercandovi la fascinazione del magico, del misterioso. I dipinti antichi, infatti, pur essendo oggetti assimilati dai nostri occhi e dalla nostra mente, pur essendo testimonianze della vita vissuta, della ricerca intellettuale e dell'operosità di uomini come noi, mantengono sempre qualcosa di "intraducibile". Un'opera d'arte di secoli orsono (e questo Martin lo sa bene) è parte delle nostre radici, del nostro modo di guardare alla realtà: offre soluzioni stilistiche, compositive, tecniche, si propone come documento storico; tuttavia, non è mai pienamente comprensibile, perché è espressione di un momento della civiltà lontano, concluso: ed è proprio da questa attualità / inattualità dell'arte del passato che scaturisce la fascinazione..... Così come il suo immaginario figurativo è il risultato di una sedimentazione di memorie storiche, così anche la tecnica pittorica di Martin è tutt'altro che veloce e immediata, ma è meditativa, lenta. I suoi quadri, a volte ripresi e modificati a distanza di anni, sono costruiti con attente stratificazioni di colore. Le strutture geometriche dai trasparenti effetti chiaroscurali, gli accostamenti cromatici stranianti, le stesure di vernice che donano brillantezza alle pennellate ad olio, certe figure collocate "fuori asse", certe ombre volutamente incongrue, conferiscono alle opere ora il carattere asciutto e severo di antiche tarsie lignee o di emblemi araldici, ora un tono di favola (complice la comparsa di giocattoli accostati a castelli feudali). In altri dipinti, Martin si misura con immagini (perlopiù femminili) di taglio fotografico, sforzandosi però, attraverso una ricerca di stilizzazione compositiva, di ricreare (o piuttosto di ritrovare) un ordine che le figure esprimono e al tempo stesso nascondono: un ordine, appunto, misterioso. Gianni Bertolino - Chivasso - 2000

xx(...) c'è poi una serie di ritratti femminili che mi hanno affascinato, perché al di là del fattore tecnico che vorrei mettere in evidenza, al di là di queste rappresentazioni rinascimentali, di queste donne che ancorché in costume da bagno, in bikini, si presentano come dame del '500 per la loro aulica presenza; per questa tecnica meravigliosa che Martin adopera, che ce le dona , sì, in pose quasi quotidiane, ma sempre con questa grandissima qualità femminile che ormai sta scomparendo. Però c'è un qualcosa che mi ha colpito, io credo che tutte queste donne ritratte siano non dico tristi ma quantomeno pensierose; siano delle donne di oggi dipinte come le dame di ieri, alla ricerca di un sogno: ecco che questa ricerca di sogno ha cancellato il sorriso, ha cancellato la superficialità dal loro viso e le ha rese, ripeto, ribadisco, non tristi ma così, un attimo ritratte. Non vogliono aprirsi più di tanto; anche in questo suo essere pittore ritrattista, Martin ha fatto questo piccolo miracolo, ci ha dato ritratti di donne che non sono però assolutamente i soliti ritratti femminili, così che donano una bellezza esteriore; qui, attraverso queste donne, lui ci ha donato un pensiero, ci ha donato un modo di vivere, un modo di essere, (...) Giorgio Pilla - Venezia - 2001

Un sogno metafisico: nitido e pur sfuggente, cioè teso verso i lidi più lontani della fantasia. Nei dipinti di questo colto artista torinese c'è il desiderio di scavalcare la realtà pur senza negarla. Così nel "Palazzo del mago" l'edificio incantato diventa il simbolo di una splendida utopia. Anche nelle figure femminili, avvolte da un'aura classicistica, la limpida volumetria svela una tensione verso la perfezione, dove tutto è regolato da una alchemica tensione. Paolo Rizzi - Milano - 2001

(...) un artista inquietante che ci ricorda per molti versi la stagione aurea della pittura italiana, tra gli anni venti e gli anni trenta, interpretata con uno spirito nuovo, come se in lui aleggiasse un sentimento classico che lo porta a questa volumetria precisa nelle forme, a questa simmetria, a questo gioco geometrico delle linee e dei colori. Direi che all'interno di questi fattori di ordine formale si inserisce una componente, una sorta di introspettiva psicologica: ad esempio, in questo quadro che si intitola il "Sogno dell'alchimista", noi vediamo che questi due tipi di luce, una luce radente e una luce zenitale si incontrano paradossalmente nell'apparizione di elementi architettonici che dal fondo del quadro si innalzano verso l'alto, sulla linea d'orizzonte del mare; c'è qualcosa di metafisico, di surreale e quindi anche di conturbante nel senso che all'apparente geometria, all'apparente linearità, all'apparente classicità della pittura, si sovrappone in modo molto suggestivo un timbro culturale che si insinua dappertutto e diventa, assume, un aspetto fantastico, un aspetto metafisico e surreale, che rende Mauro Martin un artista del tutto singolare, in un certo senso antico, proprio perché si richiama ad una misura aurea, e moderno perché si richiama proprio ad una inquietudine tipicamente d'oggi (...) Paolo Rizzi - Milano - 2001

Nelle botteghe pittoriche del Rinascimento, il disegno era il "pane quotidiano" dei maestri quanto degli apprendisti: la copia da un'opera famosa, lo schizzo, lo studio dal vero o il cartone preparatorio per un dipinto necessitavano di una mano esercitata e salda, nonché di tecniche differenti ed elaborate. Il pittore contemporaneo Mauro Martin ha fatto propria, nel corso degli anni, questa pratica antica del disegno, non per una vacua esibizione di bravura, ma per essere in grado di trasmettere (alle sue prove grafiche come ai dipinti su tela) un fascino misterioso, talora arcaico, frutto di una composizione meditata. I riferimenti di stile e di iconografia si alternano e si soprappongono, nelle opere pittoriche e grafiche di Martin, con effetti stranianti, incantati: non staremo a elencare tali "citazioni illustri", dal Quattrocento veneto al Bronzino, dai Preraffaelliti all'Art Nouveau, fino alla Metafisica di De Chirico e oltre. Ci basta sottolineare come tutti questi elementi, nei quadri, nei disegni e nelle stampe litografiche di Martin, siano ricondotti a un equilibrio programmaticamente classico, come ingranaggi di un meccanismo compiuto in se stesso: un meccanismo che sa proteggere il suo segreto. Gianni Bertolino - Chivasso - 2001

Martin come Bellini o Carpaccio è un pittore che immerge le sue immagini nella luce; una luce pura, cristallina, vibrante: infatti, la prima cosa che colpisce l’osservatore è questa proiezione luminosa abbacinante. Nei suoi dipinti la composizione è severa, la struttura classica diventa modernissima nella messa a fuoco che lega la figura allo spazio circostante. L’uso del colore è calibrato, tono su tono con raro equilibrio: non c’è una pennellata fuori posto. Il disegno, la composizione, il colore, anche il minimo dettaglio concorrono a “scrivere” le note di uno spartito ideale dalle assonanze enigmatiche. In questo rigore compositivo si sviluppa un racconto dove vivono in una dimensione neometafisica, incantata e straniante i suoi personaggi: donne generalmente bellissime a volte sensuali ma aristocratiche e un po’ tristi; nobili animali, manichini e giocattoli, abitanti di favolosi palazzi che sorgono in un improbabile deserto dove crescono pochi ma rigogliosi alberi, asciutti e ben disegnati. La passione per il realismo magico, il cromatismo sontuoso e orientaleggiante dominato dal rigore compositivo e stilistico, fanno di Martin un pittore contemporaneo attualissimo ma fuori dagli schemi o, se si preferisce, dagli “ismi”. Andrea De Bonret - Firenze - 2004

L’immagine della lettera può esprimere una distanza da colmare, un vuoto, l’esigenza di comunicare con il mondo e anche con se stessi. Lettere forse mai spedite, accuratamente ripiegate da un archivista minuzioso, chiazzate di rosso e verde come prove di colore, punteggiate di segni elementari quanto indecifrabili, compaiono nella serie di quadri “astratti” di Mauro Martin, talora, sono parte dei titoli stessi dei dipinti. Il destinatario di queste missive può essere, al tempo stesso, lontano e vicinissimo nello spazio e nel tempo: un grande pittore del Rinascimento (evocato nella Lettera a Giovanni Bellini) e un comune osservatore del Duemila. Il gioco delle allusioni stilistiche e degli inganni, tanto caro alla colta pittura di Martin, trova soluzioni analoghe nei dipinti concepiti come “scatole cinesi”:quadri che paiono contenere altri quadri, proiettano ombre e quasi vibrano su una immaginaria parete di fondo (è il caso,ad esempio, de L’enigma della Nicopeia e Un mare di silenzio). La trama materica, in rilievo, delle pennellate e dei colpi di spatola (talora di matrice informale) non appesantisce le forme, non fa loro violenza, anzi dona ai dipinti un respiro e una leggerezza ariosa, frutto di notevole disciplina manuale e mentale. Per chi già apprezza la produzione figurativa del pittore Mauro Martin, la conoscenza di queste “lettere pittoriche” sarà una bella sorpresa: quadri cosiddetti “figurativi” e cosiddetti “astratti” (o “informali” a seconda dei casi) sono infatti serie parallele, elaborate nel corso di anni con applicazione continua, legate da alcuni elementi comuni e da rimandi reciproci. Sono opere pacate e di notevole piacevolezza, un po’ introverse se si vuole, ma proprio per questo affascinanti. Gianni Bertolino - Firenze - 2005

Che cosa si può dire in una “lettera ad una professoressa di matematica”? Il quadro è davanti a me, apparentemente indecifrabile nel suo contesto astratto. Ma il titolo chiarisce l’enigma. Ecco una linea che congiunge due punti: si tratta del classico teorema del “percorso più breve”, che abbiamo imparato fin da ragazzi. Tutto ora è evidente. Ma ci spiace di non essere riusciti da soli (cioè senza l’aiuto del titolo ) a giungere alla spiegazione. Ecco forse l’intento più vero della pittura di Mauro Martin. Essa si snoda continuamente tra i due poli del figurativo e dell’astratto, facendoci comprendere (ma lo comprendiamo?) che la pittura è un linguaggio a sé, dove il significante coincide col significato. Certo, dobbiamo fare uno sforzo; ed è per questo che la pittura assume un aspetto cognitivo, direi quasi didascalico: un viaggio graduale verso una aristotelica sapienza. Prima di amarla (come solitamente ci illudiamo di fare) la pittura bisogna imparare a conoscerla. Forse per una scelta di metodo Martin ha affiancato, e continua ad affiancare, il figurativo all’astratto. Naturalmente la precedenza è andata, cronologicamente, al primo; poi, dal 1995, è sopraggiunto il secondo. E’ così che vediamo una pittura limpida e precisa, di impianto neo-quattrocentesco, per qualche verso vicina al cosiddetto Realismo magico. Lo stesso Martin parla di “rigore compositivo e cromatico”, nonché di “forte luminosità dell’impasto”: e si fa portatore, lui piemontese, di un “color veneziano”. E’ questa la linea stilistica che ebbimo occasione di ammirare nella prima mostra a Venezia, alla galleria San Vidal, nel lontano 1977. Qualcosa peraltro emergeva – ed emerge tuttora – in questo discorso chiaramente figurativo di Martin. Non a caso s’è scritto, recentemente, di “uno spartito ideale dalle assonanze enigmatiche”. Troviamo infatti alcuni riferimenti che vanno ben al di là della radice formalistica. Ancora una volta il titolo (”Omaggio a Bronzino”) ci aiuta ad identificare non soltanto la derivazione manieristica di un dipinto di Martin, ma la sua essenza appunto manieristica. Entro un’ossatura metafisica dechirichiana (il manichino) appare nella memoria il celebre ritratto di Guidobaldo della Rovere che tiene le mani appoggiate l’una sull’elmo e l’altra sul cane. Un altro dipinto è definito più esplicitamente “L’enigma del manichino disassato”. Sono indicazioni: spunti per dare allo spettatore un’idea di quel che c’è “sotto” l’apparenza: come nel teorema della linea retta tra due punti. Poi tutto dovrebbe apparire più chiaro. Il fondo geometrico-razionale ci conduce ad una sia pur difficile interpretazione. Ecco un rettangolino giallo che si stacca nettamente dal lieve contesto rosato del fondo. Come interpretarlo se non con una collina che si erge sulla pianura? Più arduo arrivare al “Cavallo classico”: forse è quella vivace macchia rossa che ci indica il carattere focoso (passionale) del nobile destriero. Ma tutto resta sospeso a mezz’aria. “La lettera a Bellini” non è, a ben vedere, che il rigoroso schema compositivo di un dipinto belliniano, dove l’armonia rinascimentale è vicina a quella cui intendeva alludere Santomaso con le sue “Lettere a Palladio”. In ogni caso, e con tutte le allusività celate nei suoi dipinti, Mauro Martin ci si rileva nell’accezione di un sentimento rinascimentale venezianeggiante. In esso non è solo la forma, ma anche il colore ad indicarci la strada, appunto, di un aristocratico rigore compositivo. Siamo fuori da ogni tendenza o movimento stilistico. La pittura diventa uno straordinario strumento conoscitivo, laddove la conoscenza, al fondo, è quella di noi stessi. Paolo Rizzi - Venezia - 2005

Fotografie come nature morte o nature morte come fotografie? Né l’una ne l’altra. L’artista tende a una sorta di realismo magico, riprendendo con l’obiettivo oggetti vari, anche piani di cartoncino combinati tra loro in modo da ottenere delle ombre “disegnate”. Si forma così uno stato metafisico di sospensione del tempo. Paolo Rizzi - Bologna - 2006

…per me queste foto sono troppo moderne ma comunque sono ben fatte! Anche se è più pittura che fotografia… Fulvio Roiter - Venezia- 2006

Con una nuova estensione espressiva e l’uso di un nuovo mezzo, la fotografia, Mauro Martin apre un percorso che stabilisce con la sua via pittorica del realismo magico e della esperienza informale una peculiare sinergia sortendo in queste immagini dall’atmosfera vellutata e silenziosa – di memorie intime e forme senza tempo – la medesima eleganza ed armonia del rapporto compositivo tra soggetto e spazio, tra luce e colore, che sempre contraddistingue il suo stilismo. Roberta Fiorini - Firenze - 2006

Mauro Martin sperimenta nelle sue fotografie, come nei suoi dipinti, un linguaggio formale rigoroso, di magica fascinazione. Vegetali, vasi, perline in vetro che imitano gocce rapprese, animaletti in ceramica, in legno o metallo, macchinine, soldatini e altri giochi d’infanzia, biscotti, libri, una radio d’epoca, un vecchio ritratto in cornice, un vestito afflosciato: gli oggetti silenziosi degli scatti fotografici di Martin si dispongono come su un proscenio, creando una rappresentazione governata da rapporti geometrici e prospettici complessi. Il palcoscenico del magico “teatro di oggetti” è sovente un semplice ripiano, le quinte teatrali sono cartoncini ripiegati; regola sovrana, in questo gioco di rapporti formali, è l’antica “sezione aurea” venerata dai maestri del Rinascimento. Di ascendenza rinascimentale, con rimandi a Piero della Francesca e a Giovanni Bellini, è la scelta dell’autore di illuminare i suoi piccoli “teatri di posa” sempre con una luce naturale diurna, ariosa e avvolgente. Per Martin, infatti, la fotografia è composizione di forme, ma anche e soprattutto pittura di luce. Grazie alla ricchezza di questa luce, gli accostamenti di forme e oggetti creano situazioni metafisiche con levità, con grazia: nelle Proiezioni sentimentali dell’artista non percepiamo l’ossessione di un incubo, semmai l’evocazione (ora sorridente ora più sofferta) di un ricordo. Gianni Bertolino - Bologna - 2006

...ha abbandonato temporaneamente la sua delicata pittura dagli accenti rinascimentali per dedicarsi ad una tecnica fotografica che vuole sublimare, con ben strutturati componimenti formali, ricordi e momenti famigliari altrimenti persi nell'oblio del tempo... Giorgio Pilla - Milano - 2008

Misura e memoria nell’informale di Mauro Martin. L’esperienza informale nella pittura di Mauro Martin assume una peculiare connotazione metafisica per quella purezza dell’immagine che appare essere filo conduttore di tutta la sua ricerca, inconfondibile cifra del suo fare artistico permeando altrettanto le sue fotografie in digitale e i più recenti bassorilievi. La scelta antinarrativa delle tavole pittoriche eleva a protagonista lo spazio inteso come misura, irrinunciabile norma classica della proporzionalità, ma anche in senso concettuale per la sua qualità di “contenitore” del tempo e dunque di memorie. Attraverso un delicato equilibrio cromatico l’artista scandisce luci e ombre suggestionando la percezione di piani diversi per superfici che conservano la loro politezza seppure solcate da segni e rugosità impressi nella materia pittorica come tracce vibranti di ricordi, retaggio di una visione concreta ormai lontana, trasmigrata in una nuova dimensione, astratta, mentale. La “lettera” e il “viaggio” sono titoli ricorrenti delle opere di Martin e ci confermano la valenza simbolica di questo suo percorso informale intrapreso quasi come spoliazione del suo colto bagaglio figurativo per affrontare nuove ipotesi di relazione tra esigenza comunicativa e sintesi espressiva che trovano soluzione in questo affascinante dialogo tra apparenza ed essenza. Roberta Fiorini – Firenze – 2008

Mauro Martin è un artista che non pochi addetti ai lavori definirebbero “completo”. Dal disegno alla pittura alla fotografia, i suoi molteplici campi di interesse hanno un comun denominatore, ovvero la composizione, la struttura dell’opera. Ad ogni linguaggio visivo, infatti, per Martin sottende la medesima regola: quella pulizia formale e quel rigore di impostazione che nel Rinascimento era alla base di ogni creazione artistica. Credo debba essere questa la giusta introduzione non solo alla mostra fotografica romana, ma all’intero corpus dell’operato di Martin. La prima considerazione che permette, anche ad un pubblico di semplici amatori, di comprendere appieno lo spirito della sua ricerca. La mostra, nel suo specifico, è costituita da cinque sezioni, alcune caratterizzate da un importante coinvolgimento autobiografico, altre dallo studio della Sezione Aurea, altre ancora da un rinnovato rapporto con la Natura e con la Storia. Nella serie Geometrie della memoria, che dà inizio al percorso espositivo, l’artista narra di sé, mettendo in bella vista una serie di oggetti che poco svelano all’occhio di uno spettatore che non abbia accompagnato Martin in certi momenti della sua esistenza. Uno sguardo, una rosa, una lettera, un libro, un soprammobile persino, come pure le fotografie, rigorosamente in coppia, dei suoi genitori -unica facile intuizione-, sono attimi topici, eppure siamo lontani da ogni tentativo di mettersi a nudo. Martin non si offre affatto allo sguardo voyeuristico dello spettatore, che solo apparentemente guarda, ma in realtà non vede se non ciò che l’artista vuole che egli veda, ovvero degli oggetti disposti con eleganza formale, attenzione prospettica ed armonia cromatica su un piano di appoggio perlopiù neutro. Come non ricordare lo spazio metafisico di de Chirico o quel modo, tanto caro a Caravaggio e, prima ancora, alla pittura veneziana, di lasciare leggibili alcune parole e note in lettere, cartigli e spartiti, al fine di dare allo spettatore colto la possibilità di accedere ad indizi più concreti? Nella serie Mitologie dell’infanzia Martin procede su questa stessa linea, svelando con parsimonia momenti e ricordi lontani nella memoria. Pinocchio, una piccola bambola, dei biscotti -persino questi rigorosamente geometrici-, il modellino di un’automobile, al tempo stesso gioco e simbolo di quella “torinesità” che contraddistingue Martin, sono ancora una volta indizi del suo essere uomo ed artista, a cui si affianca, stavolta in bella vista, “Il meccanismo del pensiero”: se prima la sua presenza aleggiava, ora il Pictor Optimus si fa tangibile e sommo riferimento. La serie Regola aurea, di nuovo, mette in scena una serie di oggetti che diventano il pretesto per esprimere quella ricerca di perfezione cui ho accennato all’inizio di questo excursus e che, in virtù del convincimento della superiorità estetica che ne deriva, per secoli è stato il punto nodale della ricerca di pittori ed architetti, non meno che di musicisti e poeti. Non spetta a me in questa sede spiegare il complicato rapporto matematico che intercorre tra le singole grandezze che costituiscono un’immagine ricreata secondo tale regola, di cui peraltro Sezione aurea dà un concreto esempio. Ancora un appunto circa L’enigma del portapenne ligneo, in cui torna l’idea del cartiglio che sembra svelare una verità (“Il pittore rivela quello che gli spiriti gli dicono”) ma che in realtà l’astuccio continua a custodire gelosamente, perché per quanto ci si sforzi di leggere e di interpretarne il senso, la parte finale del messaggio rimane celato in quella sezione di foglio nascosta al nostro sguardo. Mi piace leggere la serie La natura ricreata come un omaggio al virtuosismo costantemente ricercato nella storia della pittura, da Apelle in avanti. Come non vedere, in un’opera come In estate, delle affinità con la Canestra di frutta ambrosiana e con la pittura fiamminga ed olandese, dove la bravura di un artista si misurava con la sua capacità di meravigliare lo spettatore? E se qui la lente si sostituisce al pennello il concetto non cambia, perché per ottenere certa resa cromatica e certi rapporti luce-ombra, l’attesa -come confessa Martin- può essere davvero molto lunga, e comunque frutto di attento lavoro. Non è anche questo virtuosismo? L’ultima serie esposta, Trittico della Kore, esprime un felice connubio tra Natura e Storia. Una sorta di messa in atto dell’Età dell’Oro, in cui l’abbondanza della natura, si lega, o meglio corrisponde, ad un’altrettanta levatura del pensiero. Un omaggio alla cultura greca, quale culla della nostra civiltà e, forse, picco ultimo di quel vivere dell’uomo in armonia con ciò che lo circonda. E qui, la difficoltà intrinseca nel rendere fotograficamente la perfezione e la proporzione dei singoli elementi, nonché la corretta esposizione, non si identifica forse in un rincorrere dell’uomo contemporaneo quell’antica idea di Età Aurea? Adelinda Allegretti – Como – 2009

...riesce a comunicare i sentimenti più elevati con emozione ed amore, condividendone la magia e l’atmosfera attraverso le sue opere piene di ricordi e di nostalgie... Maria Pia Rella – Roma – 2009

...orienta la sua ricerca artistica verso diversi ambiti appartenenti alle arti visive. In mostra sono presenti una sezione dedicata a una raffinata arte informale, carica di riferimenti concettuali e simbolici. Rosy Raneri – Taormina – 2009

Per Mauro Martin non importa se gli oggetti che ci fanno compagnia sono più o meno belli, rari o comuni: l’essenziale è saperli vedere con giustezza. Saper vedere è infatti una disciplina, per la quale occorre essere molto onesti col mondo e con se stessi. La fotografia è un linguaggio visivo che, con uno scatto, può offrire allo sguardo orizzonti ampli, folle di corpi, prospettive ardue da disegnare e dipingere; questa possibilità reca con sé, però, il rischio della dispersività, del sovraccarico, del volere dir troppo per non riuscire a dir nulla. Ci sono fotografi che cercano di fissare il "momento di grazia" quasi corressero per strada, nel flusso della vita in movimento. Un artista come Mauro Martin, invece, si chiude in una stanza dalle pareti bianche, in un condominio fra gli orti e le ortiche. Con pazienza monacale, mette in posa gli oggetti che popolano la sua vita contro fondi neutri e fogli ripiegati, appoggiandoli su lastre di vetro, su legno laccato o su sacchetti di carta beige da panetteria. Poi guarda e aspetta: aspetta di vedere, come in un accadimento unico, l’avverarsi del giusto rapporto fra le cose, la luce e lo spazio. Gli oggetti in posa, dinanzi all'occhio-obiettivo di Martin, sono tutt'altro che statici, perché vivono avvolti da una luce naturale sempre mutevole. Quando un artista prende coscienza del fatto che il trascorrere della luce rende ogni scatto (ogni Visione) un unicum, allora può permettersi il gusto di mirare all'essenziale, senza paura di ripetersi. In questa fase del suo lavoro, Martin (grazie anche alla peculiarità della tecnica fotografica) è giunto a quella sicurezza di visione per cui sempre più lavora sottraendo, cogliendo immagini che affascinano soprattutto per ciò che non è mostrato esplicitamente o nella sua interezza. Certi dettagli si impongono come protagonisti dei suoi scatti, sono letteralmente estratti, "tirati fuori" dal contesto del quotidiano. E non importa se il dettaglio appartiene ad un vaso d'artigianato, ad un abito smesso un'ora prima oppure da dieci anni, ad un vegetale preso dall'orto sottocasa, ad un ninnolo proveniente dalla vetrinetta del salotto buono o ad un oggetto seriale preso dagli scaffali dell'ipermercato: accostando, ad esempio, i motivi stampati di due vistose cravatte ormai fuori moda, Martin è capace di creare l'equivalente di un grande quadro astratto. A questo artista rivelatore d'immagini basta poi un "clic" perché etichette, loghi e decorazioni di oggetti d'uso ricevano una nuova interpretazione, acuta e pertinente come la postilla d'un filologo. Addomesticati dalla consuetudine del consumo, avevamo forse dimenticato che quella maglietta estiva fa da supporto ad un'illustrazione-francobollo contenente una veduta prospettica, che l'etichetta di quella bottiglia d'anice incornicia un paesaggio marino alla fiamminga, che la fragranza di quella saponetta è annunciata sull'involucro da una natura morta floreale, lontana discendente dei decori sulle porcellane di Sèvres… Analogamente, la bandierina segnaletica ricamata su una camicia riacquista, grazie alla visione di Martin, la sua fissità d'insegna araldica, la marca dei jeans ingloba una scena di genere, e non è da meno il logo "Broadway" brillante sul blu metallizzato dei parafanghi di un'automobile: ingrandito dall'obiettivo del fotografo, diventa l'insegna pubblicitaria di un piccolo teatro d'incanti. Le slabbrature e le stropicciature irregolari dei tessuti, i riflessi che scivolano sulla carta lucida delle etichette, il chiarore che s'insinua nella fila di barattoli comprati al supermercato come in una teoria di colonne, le iterazioni dello stesso scatto con sottili variazioni di luminosità ci avvertono, intanto, che in questi scenari un po' neo-metafisici e un po' neo-pop tutto è finto: o, se preferiamo, tutto è vero, perché in arte verità e finzione, inganno e disinganno si scambiano le parti senza tregua. "Verità, finzione, teatro, gioco, infanzia, memoria, passato, presente" è una catena di termini che s'inanella con spontaneità nella mente: e, non a caso, in molte fotografie di Mauro Martin i giocattoli di foggia antica o di design nuovo fiammante interagiscono con souvenir da turisti, con figure bamboleggianti in porcellana di marca scelta o in semplice pasta di pane, con animaletti e con riproduzioni miniaturizzate di veicoli appartenenti a periodi storici diversi. A queste riunioni d'oggetti-personaggi l'artista riserva composizioni sempre rigorose, con esiti ora teneri e leggeri, ora pieni d'energia, ora inquietanti e talvolta addirittura drammatici, non di rado sperimentando armonie cromatiche "in rosso". La capacità di trarre effetti insospettabili da mezzi che sembrerebbero tanto semplici e innocui è dovuta, in parte, al fatto che Martin (per sua stessa ammissione) non è un autore eminentemente introspettivo: è anzi un paziente sperimentatore che ama guardarsi intorno, anche se, per scelta di metodo, compie la propria ricerca in prevalenza entro le sacre pareti dello studio. Sentiamo che il percorso di Mauro Martin come pittore-scultore-fotografo è in pieno svolgimento: quest'artista riservato continua a cercare e a trovare, valendosi di tecniche diversificate ma producendo un corpus di nuove visioni con ammirevole coerenza stilistica. Gianni Bertolino - 2009

Nel dipinto di questo colto artista torinese c'è il desiderio di scavalcare la realtà pur senza negarla. Così nel "Palazzo del mago" l'edificio incantato diventa il simbolo di una splendida utopia e le figure una alchemica tensione verso la perfezione. Massimiliano Sbrana - 2010

Per sua stessa ammissione, Mauro Martin indaga l'immagine femminile, nei suoi ritratti fotografici, cercando di raffigurare i "rilievi dell'anima". Torna in mente, a tale proposito, l'attenzione di Leonardo e dei suoi seguaci nel rappresentare i "moti mentali" con il movimento corporeo e l'indagine della fisionomia, nel fluire impalpabile della luce. Il proposito di scrutare i "rilievi dell'anima" comporta anche la fiducia di Martin in una ricerca d'armonia, di bellezza interiore che si rivela attraverso la presenza umana, in particolare attraverso la presenza femminile, quale perno di una composizione rigorosa, ispirata alla regola matematica della sezione aurea. La sezione aurea, detta anche "numero d'oro" o più prosaicamente "formula della bellezza", è una chiave che permette all'artista di accordare i "rilievi dell'anima" alle forme corporee, lo spazio della fisicità carnale allo spazio della luce. Colpisce la scelta di Martin di non ambientare questi ritratti femminili né in uno scenario lussuoso o "glamour" né in un contesto alienante, fatiscente, degradato. Manca, insomma, nell'autore l'intenzione (così frequente da decenni nella pubblicità e in tante opere sia "di denuncia" sia patinate) di presentare la donna come un pasticcino sul vassoio d'argento, come una creatura in gabbia o come un fiore selvaggio fra le rovine: questo perché la ricerca artistica di Martin diverge dall'estetismo decadente come dall'atteggiamento socialmente impegnato e dal sarcasmo. Manca inoltre nelle immagini di Martin la sublimazione che priva la donna delle piccole asperità caratteriali e fisiche: anche perché i soggetti rappresentati in questi scatti sono persone a tutto tondo, che sanno essere tenere ma anche determinate, e che sembrano essersi adornate non tanto per piacere agli altri ma innanzitutto a se stesse. Le figure femminili di questo artista agiscono in spazi spogli con fondali spesso neutri; i pochi elementi decorativi ammessi, quali i motivi di un tessuto o di un tappeto, un gioiello, un giglio sorretto con delicata fierezza, i tacchi affusolati che esaltano il collo del piede, cessano di essere dettagli esornativi e sono compresi nel rigore della composizione: è così che, talora, le pieghe di una stoffa assumono la solennità di un panneggio statuario, il rapporto figura-fondale rivela la giustezza di taglio d'un dipinto astratto, i colori si stemperano tenui o vibrano perentori come gli sguardi e le posture delle membra (ora morbide e accoccolate ora geometricamente snodate quasi a suggerire triangoli). I ritratti femminili di Martin, in conclusione, non hanno il tono di un giudizio violento, calato dall'alto: sono riflessioni per immagini, che intrattengono un dialogo in continuo divenire con le donne d'oggi su concetti antichi e un po' arcani quali l'Anima, l'Eros, la Bellezza; sono affettuosi percorsi d'avvicinamento, talora venati di un'ironia quasi filosofica. Gianni Bertolino - 2011

Quando Mauro Martin mi ha mostrato per la prima volta una selezione degli scatti fotografici realizzati con tre distinte modelle su un tappeto orientale, la mia mente è corsa verso tutta una serie di immagini/simbolo: in primis Aladino e da qui, come una pietra che rotola e non si arresta più, al noto dipinto di Viktor Michajlovič Vasnecov - Il tappeto volante, appunto -, ma anche Le Mille e una Notte, la danza del ventre, lo scintillio dell'oro e del rosso... fino alle Arabian Nights di Marc Chagall. Questa mostra, pertanto, più che da un omaggio diretto all'artista che si è reso universalmente noto e riconoscibile come colui che fa "volteggiare nell'aria" le sue amate, nasce da un'associazione di idee, accomunate e "cucite" assieme da un simbolico fil rouge. A questo punto, con un processo inverso, guardando alle 13 tavole realizzate da Chagall proprio per illustrare Le Mille e una Notte, dalle centinaia di scatti fotografici di Martin ne abbiamo estrapolati altrettanti: 4 per ciascuna modella, ai quali avremmo dovuto trovare ed aggiungere uno scatto a se stante, a degna chiusura della serie. Ciò che colpiva sin dalle prime immagini, è che le tre modelle, ciascuna lasciata libera di muoversi sul tappeto e di indossare gli abiti a lei più congeniali, che l'avrebbero fatta sentire a proprio agio, ha lanciato un messaggio ben preciso all'obiettivo. La più giovane delle tre, sulla trentina (che non si legga, da donna a donne, come una caduta di stile, ma piuttosto come una libera rilettura di klimtiana memoria sulle 3 età della donna), ha mostrato un aspetto casto, quasi virginale. Lo scuro abito lungo, svolazzante, lascia intuire un corpo giovane, fresco, ma non ne mostra praticamente alcuna parte, ad eccezione delle caviglie. La seconda, già tra le quarantenni, si mostra sicura di sé; è la gatta che gioca col topolino. Statuaria, vive il tappeto sdraiandovisi e standovi in piedi, mentre l'abito si accorcia e si apre con scollature e spacchi laterali. La terza modella, vestita di bianco e dall'età indefinibile, ha uno sguardo ed un atteggiamento magnetici. Sembra pericolosa come il fuoco. Un tappeto, unico elemento concesso in comune a tutte e tre le modelle, ha fatto sì che ciascuna di esse riflettesse, in un implicito gioco di parti, il proprio erotismo secondo la sua, personalissima, indole. Ciò che mi preme sottolineare è che quelle sessioni di lavoro non avevano come scopo il riflettere l'approccio seduttivo delle tre donne, e che se il "set" fosse stato costituito da una stoffa fiorata, sicuramente l'atteggiamento delle modelle sarebbe stato ben altro. E questo ci riporta all’associazione di idee con cui abbiamo aperto questa dissertazione: è l'immaginario collettivo che attribuisce certi valori simbolici. Il tappeto, poggiato su un tavolo alla maniera fiamminga, o appeso ad una parete o come divisorio delle navate di una chiesa, come nel caso degli arazzi, non assume affatto una valenza sensuale o erotica. Ma se lo si pone in terra e si dice ad una bella donna di muoversi su di esso in totale libertà, allora sì che scatta un meccanismo tale da riportare alla mente storie di seduzione, di profumi, di danze. Pensiamo ad un caminetto in una baita di montagna: lo immaginiamo con o senza un tappeto davanti? A coronamento della serie, quindi, è parso naturale dedicare l'ultimo scatto all'oggetto-simbolo in questione, il tappeto. In realtà chiude una serie - che porta impresso a secco il cognome di chi scrive, con mio immenso orgoglio -, per socchiudere la porta verso un mondo inesplorato (del disegno, del decoro, dell'hortus conclusus, perché no?) che forse, me lo auguro, ispirerà Martin per un lavoro futuro. A conclusione vorrei ribadire che, a creare un collegamento ideologico ed iconologico tra Martin e Chagall, ha contribuito anche la "strana" carica erotica che promana dal ciclo "Arabian Nights", qui esposto al completo. I personaggi di Chagall sono romantici, non sensuali. Si tengono per mano aleggiando nell'aria, e non concupiscono. In questa serie, invece, in almeno quattro tavole, c'è uno spiccato senso erotico, decisamente poco chagalliano. I colori si fanno persino acidi in alcune scene. Anche il grande maestro russo, confrontandosi con un classico testo orientale, forse il più noto in assoluto a noi occidentali, ha modificato il suo approcciarsi alla donna, rendendola femme fatale come mai prima. La notte araba rimane sinonimo di una promessa d'amore... Adelinda Allegretti - Como - 2011

xxPittore, Scultore, Poeta, Fotografo? Ove porre il confine tra l'una e l'altra di dette attività che accompagnano il cammino di questo declinatore di sogni? Sono convinto che tali confini non esistano poichè MARTIN non ragiona in termini di allargamento culturale ma, più semplicemente, coglie le istanze del proprio sentire per trasformarle in opere in cui quelle sensazioni vengono espresse prescindendo dalla tecnica usata. Non si può dimenticare quando agli inizi della carriera agitava pensieri metafisici creando dipinti in cui persone e cose, ambienti naturali e prodotti della sapienza umana galleggiano in una sfera di pura luce collocandosi in contesti fuori dal tempo e dallo spazio, immersi in una atmosfera immobile e silenziosa che crea dimensioni oniriche ove la mente può viaggiare alla ricerca delle ragioni dell'esistenza umana (cfr. Il Palazzo del Mago); ed è in quest'ultima opera che ogni assioma si condensa divenendo l'esempio di un pensiero utopistico che l'Autore accarezza nel suo apparire interprete delle nostre illusioni. Di questo tempo sono anche quei splendidi ritratti muliebri ove ogni donna ripresa non risulta per come si mostra, ma per ciò che rappresenta, oltre il segno declinato, simbolo eterno di una bellezza arcana che l'Autore ha fatto propria a mezzo di una pittura sontuosa, fiore estemporaneo di un seme antico, tanto da stupire per intensità tecnica e proposta cromatica, isola felice ed inconsueta. Magie che si ripetono in quelle opere ove la forma si è disciolta nella luce divenendo puro spirito interpretativo (cfr. Il Giardino incantato et Marina), propositi di felicità che ogni essere umano sogna di veder realizzati. L'amore per il "lacerto" fotografico emerge nel corso di questi ultimi anni per dar vita a riprese di piccoli oggetti "dimenticati" dalla consuetudine, per ridonar loro, per l'attimo di un "clic", speranza nel futuro e nuova vita nel nostro quotidiano. La ripresa fotografica di "soggetti" femminili ci porta in una dimensione di introspezione capace di scavare profondamente nella psiche dell'altra metà del mondo scoprendo l'origine di "Tutto". Giorgio Pilla - Venezia - 2011

La varietà dei modi di produzione di Mauro Martin mette lo spettatore davanti al non facile compito di esprimere delle preferenze, di "votare" per il genere in cui a torto o a ragione lo ritiene più particolarmente versato. Questa volta siamo in presenza di due generi, oli e fotografie, che meritano due discorsi diversi e distinti, anche perché nel tenere questa distinzione Martin è estremamente rigoroso. Ogni genere ha la sua logica e le sue ragioni: la pittura è una cosa la fotografia è un'altra. Qualche coincidenza quando c'è, è puramente casuale e dovuta per lo più ad esigenza compositive, non ad esigenze espressive. Cominciando dalla pittura, in essa Martin (ovviamente per sua decisione) si trova ad affrontare una serie di problemi delicatissimi, ai quali non sempre dà soluzione, perché una soluzione sarebbe una forzatura. Il problema è aperto e il risultato è soprattutto quello di fare un po' di ordine nella vasta ed eterogenea materia: non è solo una differenza per contenuti e forme, la cosa è anche dovuta al fatto che l'artista si avvale spesso di una particolare sensibilità critica. E il concetto di "testo" pittorico allora si dilata e pone problemi di delimitazione e di utilizzo delle forme e dei colori. E questo a me pare essere il punto di passaggio dalla pittura alla fotografia. Mi interrompo per scusarmi: do per scontato che Martin passi dalla pittura alla fotografia, ma non è detto che sia così, può essere il contrario o ci può essere una salutare alternanza. Però la premessa della pittura sia pure a livello ipotetico e concettuale va asserita, perché Mauro Martin realizza efficacemente il suo obiettivo che consiste nel proporre ragioni e stati d'animo e realizza questo obiettivo con la figurazione pittorica, ineliminabile dalla fotografia.E allora ecco l'amalgama di compostezza e di emotività intensa, ecco una sensualità rappresa e panica che si cela sotto le forme purissime delle sue foto opposte e complementari rispetto alla complessità delle opere pittoriche. Su questo coté avviene poi il recupero della dimensione emozionale e il recupero del "trasferimento" degli stati d'animo. E il cerchio si chiude. Bruno Rosada - Venezia - 2011

...come una sinfonia sintonica... le epistole in forma di quadri hanno un che di evocativo: sono i preludi di un inconscio individuale che vuole espandersi a livello di emozione collettiva. Con toni delicati e sfondi riposanti Mauro Martin ci comunica citazioni culturali in forma di colore; composizioni e scomposizioni geometrico-timbriche, dove ogni campitura ha un ascendente cromatico in sintonia con l'insieme del contesto. Ogni partitura s'intona all'altra come una sinfonia sintonica. La scomposizione e demarcazione dei piani visivi fa risaltare la ripartizione tonale, dove ogni universo completa l'altro, innestandosi nella globale pienezza espressiva. Ogni luogo pittorico, ogni scena, diviene quasi tridimensionale, caleidoscopica espansione dell’immaginario, individuale e collettivo, che dialoga con gli elementi del tutto. E' il pensiero che si espande, creando luoghi musicali come "Flamenco" od enigmi metafisici. Avrebbe fatto volentieri capolino De Chirico, ma qui non ci sono i manichini, restano solo geometrie solide, parallelepipedi, piramidi, vaganti negli spazi e nei tempi. Vi è una intuizione temporale di clessidra, ma il vetro si è infranto e la sabbia dileguata in universi paralleli in cui si nasconde la chiave per aprire le porte dei segreti. L'umano tace astratto ed attratto nella contemplazione. Sandra Lucarelli – Pisa – 2011

L'esperienza informale nella pittura di Mauro Martin assume una peculiare connotazione metafisica per quella purezza dell'immagine che appare essere filo conduttore di tutta la sua ricerca, inconfondibile cifra del suo fare artistico permeando altrettanto le sue fotografie in digitale e i più recenti bassorilievi. La scelta antinarrativa delle tavole pittoriche eleva a protagonista lo spazio inteso come misura, irrinunciabile norma classica della proporzionalità, ma anche in senso concettuale per la sua qualità di "contenitore" del tempo e dunque di memorie. Attraverso un delicato equilibrio cromatico l'artista scandisce luci e ombre suggestionando la percezione di piani diversi per superfici che conservano la loro politezza seppure solcate da segni e rugosità impressi nella materia pittorica come tracce vibranti di ricordi, retaggio di una visione concreta ormai lontana, trasmigrata in una nuova dimensione, astratta, mentale. Massimiliano Sbrana – Pisa – 2011

...il manichino di dechirichiana memoria compare in primo piano, mentre lo sfondo che si divide in due, lasciando intravedere il paesaggio, evoca l’impostazione dei ritratti nobiliari del ‘400. Ma il citazionismo di Mauro martin si affida soprattutto alle trasparenti lucentezze del colore e della luce, all’alone di suggestiva magia che provoca nell’immaginario degli osservatori... Silvia Arfelli – Berlino - 2013

Le opere qui presentate, fanno parte della produzione artistica dell’anno 2012. Esse mostrano come Mauro Martin durante anni di carriera abbia sviluppato le sue tecniche artistiche nel tempo. Un autore che cerca sempre di superare sé stesso, andando ogni volta oltre la tecnica e oltre l’immaginazione. Le sue fotografie in giclée su tela pittorica, mostrano come l’artista voglia sfondare i confini dell’arte riportando nelle sue opere innovazione e precocità, cimentandosi in una tecnica che in Italia è ancora abbastanza sconosciuta e poco usata. Un processo artistico in cui l’opera acquista più valore per la fantastica risoluzione donata dal particolare tipo di inchiostro che dà più luminosità alle opere specialmente per la resa del colore, molto vivo e autentico. Martin esalta le sue creazioni grazie al personaggio ritratto: una donna nuda posa dinnanzi all’obiettivo andando via via a rappresentare vari momenti emozionali. Opere che passano dalla rappresentazione di momenti in cui la donna impersona una statua greca in cui contraendo ogni singola parte del corpo va a mettere in risalto la muscolatura così che si possa percepire il vigore, la forza e la determinazione femminile. Ma anche una donna che tramite vari giochi di luce, viene rappresentata, avvolta da un lenzuolo che lascia intravedere solo un seno, attraverso prospettive emozionali che invitano alla ricerca della bellezza. Oppure la rappresentazione del momento in cui la donna attende il crepuscolo, dove, seduta su una sedia si accarezza una gamba, un gesto di delicata sensualità che anticipa, forse, un secondo momento in cui incontrerà il suo compagno. Fotografie dove la sensualità viene sì percepita, ma con un occhio di riguardo, infatti nelle opere, l’aspetto della nudità diviene marginale quando vien reso palese ciò che l’artista vuole veramente comunicare: il suo è un andare oltre l’esteriorità. Non a caso risultano più accattivanti immagini in cui la donna cela maggiormente le sue parti intime, a differenza di quelle in cui la nudità è completa dove esponendo una componente meno erotica è possibile fare un’indagine introspettiva. La donna si trova poi a personificare i ruoli della bellezza, dell’amore e della fertilità soliti della dea Venere o di Dafne, ed ecco che la carica erotica di un corpo nudo viene subito sopraffatta dal collegamento all’antico mito latino, dove l’ancella si trova ad assumere un ruolo importante in cui allegoricamente le forme fisiche e la graziosità della posa richiamano la felicità e la libertà del movimento senza veli, possibile proprio perché la donna paragonata ad una dea può così apparire nella sua reale bellezza. Se si ricorda, nei secoli scorsi era possibile dipingere corpi nudi solo se questi facevano riferimento a qualche divinità, proprio perché solo gli dei potevano celarsi in tutto il loro splendore, senza scandalizzare. Francesca Catalano – Venezia – 2013

Oggi questo Artista ha raggiunto traguardi che solamente con la tenacia, lo studio e la preparazione si pongono alla portata di chi si prefigge di oltrepassare limiti che, per taluni, sono muri insormontabili. Vale la pena di sottolineare come Mauro Martin nasca Pittore adepto alla corrente metafisica realizzando opere di assoluto valore, tali da incantare per la proprietà grafica e la stupefacente qualità cromatica, intese quali vestimenta di un pensiero volto alla ricerca dell’Io sospeso tra le righe della nostra esistenza. Dopo parecchi anni dedicati all’approfondimento di una esegesi spiritualistica, da qualche tempo in veste di “curioso” ricercatore ha voluto entrare nel mondo della fotografia artistica, sollecitando i nostri sensi con opere dal carattere ontologico dense di una componente mnemonica palesata a mezzo di soggetti atti a riportare alla mente “cose“ facenti parte della sua vita trascorsa, con rari effetti visivi e contemplativi. In questa Mostra lo ritroviamo con una serie di splendidi scatti di nudi muliebri in cui sembra di poter leggere tutte le manifestazioni oniriche che tale soggetto può provocare agli astanti, dispiegando una applicazione ormai satura di esperienza e intuizione tecnica. Sappiamo, per conoscenza storica, quale intenso rapporto l’Uomo abbia sempre avuto con il proprio e l’altrui corpo; da Vitruvio a Leonardo (che ne riprese gli studi creando il famoso Uomo vitruviano) arrivando ai giorni nostri, gli Artisti non hanno mai cessato di interessarsi alla macchina più perfetta del creato, cercandone i misteri fisici e spirituali. Mauro Martin ha voluto, da par suo, dare il proprio contributo a questa ricerca andando a cogliere, in ognuna di queste pose, l’aspetto esteriore e indagando con dosata perizia nell’animo del soggetto ritratto. Ne esce una galleria di momenti ricchi di passaggi sensoriali, capaci ora di commuovere altrove di incuriosire il fruitore. Non mancano riferimenti storici quali: “VENUS e DAFNE“ che riportano alla mente opere dei grandi del ‘500 con un taglio formale che ci da l’esatta percezione della capacità dell’Autore di leggere in chiave moderna le intuizioni di quei geni del passato. Incantevole la posa: “Hellenic presence“ nella quale troviamo racchiuso tutto il valore plastico della grande scultura greco antica che Martin ha saputo sintetizzare con un semplice movimento della modella, degno di una danzatrice minoica. Ma al Nostro non sfugge la necessità di portare all’attenzione problematiche odierne quali l’indagine psicologica degli individui, che Lui riesce a catalogare in due splendide sintetiche pose fotografiche: “REFLECTIONS e MY SELF“ ove la staticità del soggetto proietta al meglio la sua condizione di individuo alla ricerca del proprio Io. Ma è tutta la serie di queste opere a sorprenderci sia per qualità tecnica, quanto per intuizione psichica, un “ensemble“ di assoluto valore che pone questo Artista poliedrico su posizioni di massimo rilievo, percependo, inoltre, l’impressione che il suo futuro ci riserverà altre sorprese, poichè è notorio che l’intelligenza, abbinata alla qualità ed alla fantasia, non abbia confini. Giorgio Pilla – Venezia – 2013

Narra un antico mito greco che al giovane Atteone, durante una battuta di caccia, capitò di vedere la dea Artemide lavarsi nuda a una fonte; la punizione della divinità offesa non si fece attendere: Atteone, trasformato in cervo, fu sbranato dai suoi stessi cani, che non lo riconobbero più come padrone. Nell’antichità classica la nudità degli dei era adorata come culmine della bellezza, ma talora anche temuta come la porta del Terribile: molti sono i commentatori che interpretano il destino dello sventurato Atteone come allegoria dell’essere umano che, preda di un desiderio insostenibile, regredisce ad animale ed è divorato dalle proprie stesse voglie. Per millenni molte energie del pensiero e dell’arte hanno lottato per salvare l’uomo dalla “regressione di Atteone”, per trovare cioè il varco verso una bellezza che fosse elevazione, costruzione di un dialogo con l’Altro e verso il Divino. E si è convenuto – con Socrate e Platone innanzitutto, per giungere fino al nostro Rinascimento – che intrecciare un dialogo con un altro essere umano, oggetto di meraviglia e desiderio, richieda spesso un passo indietro, una distanza di rispetto, necessaria a collocare la persona nella prospettiva del suo destino e della sua verità. Nelle donne che animano gli scatti fotografici di Mauro Martin questa distanza di rispetto, questo senso umano (prima che figurale) della misura, di matrice classica e ancor più rinascimentale, s’impongono all’osservatore. La nudità narra (e fissa nello scatto fotografico) le vicissitudini di un corpo transeunte, collocato nella prospettiva del suo destino di mortalità e finitudine: il corpo osservato si esprime tacitamente con la tensione dei muscoli e dei nervi, con la rilassatezza degli arti, la luminosità della pelle, l’abbandono dei capelli che ricadono mollemente, la serenità o la profondità dolente di un volto... Il corpo della donna osservata e ammirata viene però collocato da Mauro Martin entro un’armonia geometrica, non esibita ma sottesa a ogni particolare dell’immagine fotografica: ed è qui che si esprime compiutamente il senso umano e figurativo della misura, ovvero la distanza rispettosa dello sguardo che è peculiare di quest'artista. La stessa luce naturale, fenomenica, si rifà al senso nobile della luminosità diurna di certo Rinascimento: sottrae il corpo alla cronaca feriale, al senso del mero reportage, ma anche alla crudezza di una geometria per potrebbe riuscire disumanizzante. Come il corpo raffigurato è nudo, così nudo − ma non povero, anzi talora di una sontuosità figurativa dichiaratamente “medicea”, come suggerisce l’autore stesso in alcuni titoli di opere − è l’ambiente in cui il corpo posa: un ambiente di pochi elementi essenziali, tutti significativi. Il drappo che copre il sedile è l’erede dell’antico panneggio, che rivestiva il seggio o il letto della dea o ancora il trono della Madonna, concentrando luci e ombre ad accogliere il corpo talora quasi come un’onda o un’aureola. Il tappeto dai motivi stilizzati, rigidi e ripetitivi fa da contrappunto alla mutevolezza morbida della carne da cui traspare l’animo femminile, analogamente ai dipinti religiosi, alle Veneri o ai ritratti del Rinascimento veneto e centro-italiano tanto studiato e amato da Mauro Martin. L’artista sa che l’armonia di un’immagine nasce dalla composizione di elementi anche potenzialmente discordanti: perciò non mancano, in particolare con i nudi intitolati Mermaid (“Sirena”), cauti richiami a quella terribilità disumanizzante del desiderio che minaccia la serenità del vivere e che, in alcuni scatti fotografici, sembra sottesa alla bellezza come uno scoglio sotto il pelo dell’acqua. Gianni Bertolino – Chivasso – 2013