Nota Critica di Paolo Rizzi (2005)


Che cosa si può dire in una "lettera ad una professoressa di matematica"? Il quadro è davanti a me, apparentemente indecifrabile nel suo contesto astratto. Ma il titolo chiarisce l'enigma. Ecco una linea che congiunge due punti: si tratta del classico teorema del "percorso più breve", che abbiamo imparato fin da ragazzi. Tutto ora è evidente. Ma ci spiace di non essere riusciti da soli (cioè senza l'aiuto del titolo) a giungere alla spiegazione.

Ecco forse l'intento più vero della pittura di Mauro Martin. Essa si snoda continuamente tra i due poli del figurativo e dell'astratto, facendoci comprendere (ma lo comprendiamo?) che la pittura è un linguaggio a sé, dove il significante coincide col significato. Certo, dobbiamo fare uno sforzo; ed è per questo che la pittura assume un aspetto cognitivo, direi quasi didascalico: un viaggio graduale verso una aristotelica sapienza. Prima di amarla (come solitamente ci illudiamo di fare) la pittura bisogna imparare a conoscerla.

Forse per una scelta di metodo Martin ha affiancato, e continua ad affiancare, il figurativo all'astratto. Naturalmente la precedenza è andata, cronologicamente, al primo; poi, dal 1995, è sopraggiunto il secondo. E' così che vediamo una pittura limpida e precisa, di impianto neo- quattrocentesco, per qualche verso vicina al cosiddetto Realismo magico. Lo stesso Martin parla di "rigore compositivo e cromatico", nonché di "forte luminosità dell'impasto": e si fa portatore, lui piemontese, di un "color veneziano". E' questa la linea stilistica che ebbimo occasione di ammirare nella prima mostra a Venezia, alla galleria San Vidal, nel lontano 1977.

Qualcosa peraltro emergeva - ed emerge tuttora - in questo discorso chiaramente figurativo di Martin. Non a caso s'è scritto, recentemente, di "uno spartito ideale dalle assonanze enigmatiche". Troviamo infatti alcuni riferimenti che vanno ben al di là della radice formalistica. Ancora una volta il titolo ("Omaggio a Bronzino") ci aiuta ad identificare non soltanto la derivazione manieristica di un dipinto di Martin, ma la sua essenza appunto manieristica. Entro un'ossatura metafisica dechirichiana (il manichino) appare nella memoria il celebre ritratto di Guidobaldo della Rovere che tiene le mani appoggiate l'una sull'elmo e l'altra sul cane. Un altro dipinto è definito più esplicitamente "L'enigma del manichino disassato". Sono indicazioni: spunti per dare allo spettatore un'idea di quel che c'è "sotto" l'apparenza: come nel teorema della linea retta tra due punti.

Poi tutto dovrebbe apparire più chiaro. Il fondo geometrico-razionale ci conduce ad una sia pur difficile interpretazione. Ecco un rettangolino giallo che si stacca nettamente dal lieve contesto rosato del fondo. Come interpretarlo se non con una collina che si erge sulla pianura? Più arduo arrivare al "Cavallo classico": forse è quella vivace macchia rossa che ci indica il carattere focoso (passionale) del nobile destriero. Ma tutto resta sospeso a mezz'aria. "La lettera a Bellini" non è, a ben vedere, che il rigoroso schema compositivo di un dipinto belliniano, dove l'armonia rinascimentale è vicina a quella cui intendeva alludere Santomaso con le sue "Lettere a Palladio".

In ogni caso, e con tutte le allusività celate nei suoi dipinti, Mauro Martin ci si rileva nell'accezione di un sentimento rinascimentale venezianeggiante. In esso non è solo la forma, ma anche il colore ad indicarci la strada, appunto, di un aristocratico rigore compositivo. Siamo fuori da ogni tendenza o movimento stilistico.

La pittura diventa uno straordinario strumento conoscitivo, laddove la conoscenza, al fondo, è quella di noi stessi.

Paolo Rizzi - Febbraio 2005